Fino ad oggi il cavallo è servito alla terapia fisica e psicologica attraverso un contatto fisico che, nella metodologia ippoterapica, porta all’elicitazione di emozioni che aiuteranno il paziente a procedere verso un obiettivo di miglioramento partendo da un disturbo fisico, psichico o psicofisico.
Con questo progetto si vuole utilizzare il cavallo così com’è presente nella mente degli individui, una cosa non ovvia forse, ma facilmente comprensibile se si considera che nella nostra cultura questo animale rappresenta un simbolo potente.
Potremmo scrivere pagine e pagine sul ruolo del cavallo nella mitologia che ha contribuito a farne un simbolo ben radicato nella nostra psiche, ma riassumendo in un modello duale possiamo dire che il cavallo nero viene dal profondo, dalle viscere della terra, porta la tristezza, la paura e la morte mentre il cavallo bianco viene dall’alto, dalle nubi o emerge dalla nebbia, rappresenta la vita, la creatività, la forza psichica, la fiducia e l’amore. E’ nero il cavallo funebre, contenitore dell’anima nei riti di passaggio mentre è bianco il cavallo del “principe azzurro” e se poi è anche alato ci porta in un mondo magico e fiabesco.
Dire che il cavallo “rappresenta” questi sentimenti e situazioni, significa che riesce a elicitare in chi lo vede, le emozioni a essi relative.
Il simbolismo equino ha valenze diverse nei soggetti maschili e femminili, negli uomini ha sovente una forte carica di dominanza guerriera e sessuale mentre nelle donne ha un valore molto più sfaccettato e ambiguo che include la sessualità e il desiderio inespresso di autodeterminazione.
Nella nostra cultura il cavallo ci accompagna sin da fanciulli, lo troviamo nelle fiabe, lo vediamo nelle opere d’arte e in televisione. Oggigiorno forse non tutti i bambini riescono a vederne uno in carne e ossa ma la simbolica giunge loro comunque in modo forte e prepotente.
Il cavallo è coraggioso, fedele, fiero, intelligente e nobile. Non solo. Il cavallo è un mezzo per fuggire, ma non è una bicicletta, è un essere vivente che si farà carico di noi, che ci ama, ci contiene e allo stesso tempo ci concede una posizione privilegiata al disopra di ogni male terreno, al disopra del dolore quotidiano, dell’ovvio e del banale.
Il progetto Lucky You si rivolge in un primo tempo ai bambini dalla 3° alla 5° primaria.
Un fenomeno preoccupante, che recentemente è stato registrato anche in questa fascia di età, è il bullismo, una violenza che va a colpire l’intera comunità scolastica e non solo il binomio bullo/vittima. Il bullismo scaturisce da una complessità di cause, nell’adolescenza il nucleo è ipotizzabile in una crisi d’identità, una ricerca del Sé disperata, mentre nell’età precedente la base è prevalentemente collocabile nell’incapacità di riconoscere e vivere l’emozione propria e degli altri; sostanzialmente l’incapacità empatica.
La funzione delle emozioni è ritenuta essere adattativa: sono strumenti che servono all’essere umano per adattarsi rapidamente all’ambiente circostante e l’esteriorizzazione. Avrebbe quindi una funzione di comunicazione. Per Steven Gordon l’origine delle emozioni è chiaramente culturale; i
membri di una società apprendono dagli altri l’etichetta linguistica, i comportamenti espressivi, le risposte autonome, la concettualizzazione di ogni emozione associata alle varie relazioni sociali.
Tutte le emozioni umane emergerebbero durante l’interazione con l’altro, la gelosia per esempio segnala l’intrusione di un altro in un rapporto ritenuto di valore, la rabbia segnerebbe un danno imposto da un altro, la gratitudine denoterebbe il rilievo attribuibile all’assistenza da parte di un altro, e così via. Così l’individuo apprenderebbe dai suoi consimili l’impiego delle emozioni appropriate nei contesti indicati. L’etichetta linguistica attribuita all’emozione è molto importante nella prospettiva costruttivista qui considerata; il singolo apprenderebbe il vocabolario delle emozioni durante il processo di socializzazione mettendolo in grado di dare un nome a sensazioni interne ed effetti fisici correlati.
Bernard Rimé che studia la dimensione sociale delle emozioni, riscontra nelle persone un bisogno prepotente di parlare con gli altri dopo un’esperienza emotivamente coinvolgente e sviluppa un suo modello di condivisione sociale delle emozioni. Rimé indaga sui motivi di questo comportamento, questa esigenza di verbalizzare e dare un’etichetta all’esperienza emotivamente incisiva, e trova che l’esperienza non si esaurisce nel vissuto del momento ma rimane nel tempo e genera quello che lui chiama una rievocazione, un’esigenza potente che spinge il soggetto ad esternare in qualche modo il vissuto emozionale nel racconto, nella confessione, in un diario piuttosto che un determinato rituale (come il lutto) e può anche diventare fonte di ispirazione letteraria e artistica.
La rievocazione non è tanto la necessità di riferire i fatti quanto quella di riferire il vissuto inteso come percezione individuale dell’accaduto, finalizzata a stabilire un contatto sociale con persone specifiche (amici, parenti, confidenti, ecc.) e fornisce al vissuto emozionale la sua dimensione di comunicazione che fornirà all’organismo una sorta di protezione dalla somatizzazione a lungo termine.
Riteniamo dunque che un’educazione al riconoscimento, verbalizzazione e comunicazione degli stati emotivi nel bambino possa rappresentare un valido intervento di socializzazione e sensibilizzazione verso gli stati emotivi dell’altro.
E’ proprio nel periodo tra 6 e 10 anni in cui la società in generale (e non solo la scuola) deve creare i presupposti per un’adolescenza più serena ed uno sviluppo più armonioso attraverso una post adolescenza meno travagliata di quella vissuta da molti giovani di oggi dove il consumo di alcol e droghe sono la quotidianità.
La tecnica impiegata nel progetto Lucky You consiste nella somministrazione di una serie di quattro storie a fumetti, nelle quali il cavallo è protagonista in quattro episodi che rappresentano quattro situazioni sociali e fasi della vita diverse. Saranno l’infanzia, la gioventù, l’età adulta e la senescenza che faranno da contenitore a problematiche sociali quali la discriminazione del diversamente abile, il razzismo, lo sfruttamento degli altri e l’abbandono degli anziani.
Il progetto prevede in ognuna delle storie due figure centrali, il cavallo con la sua carica simbolica e il bambino quale elemento di immedesimazione del fruitore Ogni storia si concluderà positivamente, il bambino riuscirà a salvare il cavallo.
Per la fruizione sarà consigliata la presenza di un educatore in grado di comprenderne i presupposti e quindi di gestire l’elicitazione emotiva dei bambini. Si consiglia di far seguire la lettura da una discussione moderata dall’adulto ed eventualmente da disegni. Per i più grandi si consiglia un’elaborazione col mezzo narrativo scritto.